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Per quasi tutta l’Italia, parlare di Grande Guerra rinvia a due classiche date di inizio e fine: 1915 e 1918. E “la guerra del ’15-’18” evoca la memoria dei mas¬sacri sul Carso, delle battaglie dolomitiche, delle buie giornate di Caporetto, dell’epopea del Piave e del monte Grappa. La data del 1914 per l’Italia significa invece poco: è solo “l’inizio europeo” del grande conflitto, nel quale il regno dei Savoia entrerà solamente 10 mesi dopo.
In un piccolo angolo dell’Italia d’oggi non è così: nella memoria storica del Welschtirol, del Tirolo Italiano, del Trentino asburgico insomma, il 1914 è una data “pesante”. Essa porta con sé un fardello di sofferenze che appartiene ancora oggi all’anima più profonda della nostra comunità: la fine di quasi cin¬quant’anni di pace, il sangue sparso a Sarajevo a fine giugno, l’orrore di un assassinio che all’epoca apparve qui quasi incomprensibile nelle motivazioni, la mobilitazione generale dell’agosto, le tragiche giornate di fine estate che videro cadere sui campi di Galizia e nei Balcani il fior fiore della gioventù tren¬tina, la leva in massa del novembre con l’allontanamento delle ultime classi maschili valide, le sofferenze inenarrabili delle battaglie di Natale sui Carpazi. Per il Trentino asburgico il 1914 è “l’inizio della fine”.
Di quella tragedia, che segnò una svolta epocale per il nostro territorio lascian¬do ferite a stento rimarginate nonostante il secolo trascorso, oggi rimangono le cicatrici: nella memoria storica e nell’immaginario collettivo. Praticamente in ogni casa, nei cassetti dei nonni o dei bisnonni, sono ancor oggi conser¬vate le foto sbiadite di padri, zii, fratelli, figli, i quali, rivestiti dell’uniforme grigio-azzurrina dell’armata imperiale, fissano perplessi l’obiettivo della foto¬camera cercando di assumere pose più o meno marziali. E’ stato per tutti loro un modo per lasciare ai propri cari un ricordo di sé, prima di affrontare l’ignoto di un conflitto che pareva annunciarsi breve e glorioso. E’ stato per molti, per troppi di loro inghiottiti per sempre dal vortice di sangue che in cinque anni distrusse l’Europa, l’ultima immagine rimasta a famiglie che nemmeno alla fine del conflitto poterono avere la consolazione di una tomba su cui piangere.
Oltre dodicimila furono i trentini che non tornarono.
A quei dodicimila hanno offerto il loro tragico tributo anche le comunità della Valsugana orientale e del Tesino, ma di quei caduti il ricordo era andato sempre più sbiadendo nei decenni. Al punto che di molti di essi si era persa anche la memoria. Solo con la fine degli anni Novanta e, soprattutto, nei primi anni Duemila la ricerca storica a livello provinciale ha tentato di recuperare nomi e vicende per rico¬struire il grande mosaico della “guerra dei trentini”. Ma nemmeno le meritorie ricerche che hanno portato alla compilazione dell’anagrafe provinciale dei ca¬duti del Tirolo Italiano nella grande guerra hanno potuto ricomporlo nella sua completezza. 
Molti tasselli mancavano: il tempo trascorso, il passaggio dall’Impero al regno d’Italia, un’altro disastroso conflitto sovrappostosi vent’anni dopo, l’emigra¬zione, l’estinzione di vari ceppi familiari, la ormai completa scomparsa della generazione “che visse la guerra” (e, in molti casi, anche dei figli), hanno fatto scivolare nell’oblìo molte delle vittime di quella lontana tragedia.
Dal desiderio di restituire alle comunità della Valsugana orientale e del Tesino la “memoria integrale” dei propri caduti, inquadrandone per quanto possibile la sorte nel complesso contesto bellico, è partita la ricerca di Stefano Delucca. Gli elenchi “storici” dei caduti dei diversi Comuni contenevano, certamente, molti nomi. Ma di molti altri, che si sapeva essere partiti e mai tornati, mancava qualsiasi notizia e i loro estremi anagrafici nemmeno figuravano sui monumenti ai caduti che sorgono tutt’og¬gi nei cimiteri. Per anni Delucca si è dedicato a certosine ricerche presso le fonti più diverse, dagli archivi parrocchiali a quelli comunali, dai bollettini delle perdite ai registri diocesani, dai giornali dell’epoca ai monumenti ai caduti. L’intento iniziale, ristretto e quasi egoistico, di trovare notizie del fratello del nonno (Delucca Armenio) mai tornato dalla prigionia russa, di fronte alla mole di informazioni gradualmente costituitasi si è presto allargato riservando note¬voli sorprese: non solo sono riemerse da un buio secolare le vicende di citta¬dini di cui in precedenza si sapeva unicamente che “erano morti in guerra”, ma si sono addirittura materializzati degli “eroi sconosciuti”, militari di cui era ignota persino l’esistenza e dei quali nessuno immaginava la sorte. Al punto che, attualmente, le ricerche hanno portato il numero dei caduti della Valsugana orientale e del Tesino a superare il migliaio.
Luca Girotto